Molte di loro sono riuscite, attraverso i movimenti e le coreografie, ad esprimere pensieri e sentimenti profondi, traumi che ancora oggi è difficile verbalizzare. La danza è stata una valvola di sfogo, ma anche una valvola di espressione. Perché quando le parole non bastano, il corpo parla, racconta storie di dolore e di speranza, di ferite e di guarigione.

È vero, la nostra struttura si trova a Scampia, e c’è chi pensa che siamo solo noi, le persone del quartiere, ad avere tanti problemi. Ma la realtà è diversa. Tra le nostre ballerine ci sono ragazze che non vivono a Scampia, che provengono da contesti apparentemente più fortunati, ma che portano dentro di sé storie di sofferenza e difficoltà. Ed è proprio qui, tra queste mura, che trovano accoglienza e comprensione. Le ragazze del quartiere, con la loro forza e resilienza, sono riuscite a risollevare e sostenere queste compagne, creando una famiglia allargata, unita dalla passione per la danza.

Siamo fieri di quello che facciamo. Siamo fieri delle persone che accogliamo, delle storie che intrecciamo, dei sorrisi che vediamo nascere e crescere. Non c’è gioia più grande che vedere come la danza trasforma vite, come diventa un linguaggio universale capace di abbattere barriere e di costruire ponti.

Ieri, mentre le allieve danzavano, ho visto nei loro occhi la luce della speranza e della determinazione. Ho visto la prova tangibile che questo luogo non è solo una palestra, ma un rifugio, una casa, un luogo dove ognuna può essere sé stessa e trovare forza nelle altre.

E mentre gli ultimi passi riecheggiavano nel campetto, ho capito che ciò che facciamo qui è davvero importante. Ogni giorno, con ogni allenamento, con ogni dimostrazione, costruiamo una comunità più forte, più unita, più capace di affrontare le sfide della vita.
E di questo, non potremmo essere più orgogliosi.